Marching in DCI

Questa intervista è comparsa sul sito del DCE, Nicola Esposito ha autorizzato marchingband.it a pubblicarla.
 
Ho raccolto questa sfida con me stesso alla fine del 2006: ero rapito da quel mondo e sapevo che mi scorreva nelle vene: "Un giorno marcerò in DCI", l'ho detto varie volte, scontrandomi anche con le risate di alcuni. Fu così che partì per Dallas, era il 16 novembre 2007, mi preparavo ad un week-end di audizioni. Immaginatevi l'emozione di un ventunenne che parte da solo per gli USA, col suo piccolo bagaglio di inglese, una tromba e un sacco a pelo, carico di speranza. Con alle spalle nessuno pronto a scommettere una lira sul suo successo. Questo ero io.

Immaginatevi di scendere dall'aereo dopo 22 ore di volo, in America; il lavoro in gruppo, l'audizione singola, il "ti faremo sapere...", il ritorno agitato, fino alla mail del Brass Captionhead, Aaron Goldberg, "Welcome to the Crossmen!" Quella notte, nella mia camera, ho pianto. Un pianto che ricorderò tutta la vita.

Marciare in un Drum Corps non è solo un privilegio, è prima di tutto un onore meritato: nel momento in cui vieni scelto tra i 300-400 audizionandi, sai già che chi ti ha voluto vede in te un potenziale, che non è solo tecnico (molta gente tecnicamente migliore di me non ha vestito la mia divisa). Per far parte di un Drum Corps la prima cosa da dimostrare è che ami la divisa che aspiri ad indossare, e per quella divisa devi esser disposto a lavorare, a sudare, anche a soffrire; e questo non lo dimostri con gesti eclatanti, ti si legge negli occhi. Devi esser conscio che non entri in un'organizzazione, ma in una famiglia, della cui Storia sarai viva parte, e che imparerai a conoscere giorno per giorno: "Once Crossmen, always Crossmen". E questa sarà l'esperienza più bella di tutta la vita.

 

 Nicola tra i suoi compagni colourguard dei Crossmen.

 
Mi fu richiesta la presenza a minimo due camp prima dell'inizio stagione, di cui l'ultimo a ridosso dello Spring Training, il periodo di tre settimane stanziali, chiamato anche pre-tour, in cui i gruppi montano lo show. 10-12, a volte anche 14 ore di prova al giorno per preparare lo spettacolo. Fatica, sudore, sole texano, svenimenti, ma anche aiuto reciproco, forza di gruppo, stima, tradizione, disciplina, competizione. E poi il tour, ogni giorno una città nuova, l'autobus che diventa la tua casa, i tuoi compagni la tua famiglia: vi immaginereste mai di dormire in una "camera" su quattro ruote in 64 persone? Quasi ogni sera uno spettacolo: di giorno le prove, fino alle 17.30, doccia veloce, salopette, pacchetto, strumento e via verso lo stadio, warm-up, esibizione, applausi, ritorno al campo base e prove, fino a che non stramazzi sul sacco a pelo, distrutto, ma così fiero di te stesso, con la voglia di tornare in campo l'indomani ad aggiustare i set che più necessitano, perché il punteggio saliva, scalavamo la classifica e noi eravamo finalmente tornati in finale, dopo 4 anni assenza.

Si, noi, perché in un Drum Corps la storia non è solo di chi la scrive, ma è di chiunque la condivida. Spesso mi son sentito dire "Tu rappresenti i Crossmen del Passato, quelli del Presente e quelli che verranno dopo di te": la Storia senza confini, il Bones, lo spirito dei Crossmen, un teschio con la nostra prima divisa del 1978 che appare nel punto più alto del campo, prima di un'esibizione importante. Il Bones: la prima volta che lo vidi ero in divisa, nel contest di Orlando, Florida. Un'emozione indescrivibile: io ero Lui e Lui era me, era Noi. Arrivarono i quarti di finale ed il sorpasso dei Madison Scout, la rabbia e l'orgoglio, lo strappo delle semifinali, un ultimo tentativo di riprenderci quello che per tutta la stagione era stato nostro, il dodicesimo posto: invano... E noi che dalle semifinali siamo usciti mano nella mano, alzate, per testimoniare al pubblico uno dei nostri valori salienti, l'Unità! Sconfitti ma mai divisi.

Vi ho dato una serie di immagini: avrei potuto fare un elenco freddo dei vari "perché" noi ragazzi italiani dobbiamo cercare di vivere questa esperienza, ma ho voluto regalarvi immagini di quello che ho provato, del perché sono fiero di essere un Crossmen. È vero, ci sono varie difficoltà, la lingua, il prezzo, la distanza, ma questo è il prezzo da pagare per conquistare un proprio sogno. I vincenti vanno contro gli ostacoli a testa alta, e io sono sicuro che nei gruppi italiani ci sono un sacco di potenziali vincenti. Il DCI non è così lontano, basta crederci e lavorare. E quando tornerete, sarete voi che porterete in Italia il Drum Corps vero e genuino, come gli olandesi e gli inglesi hanno fatto in Olanda e Inghilterra prima di noi. Vivere un'esperienza così cambia la vita, guardarla dall'esterno no."

Nicola Esposito.

              Nicola tra Maureen e Fred Morrison (Executive Director dei Crossmen).